FILIPPO DE PISIS (Ferrara 1896 – Brugherio 1956)
Nato a Ferrara nel 1896, dimostrò interesse per l’arte già in giovane età interessandosi sia alla pittura che alla poesia. Nel 1916, anno in cui si iscrisse alla facoltà di Lettere di Bologna, fece la conoscenza dei fratelli De Chirico grazie ai quali entrò in contatto con la pittura metafisica. Lo stesso anno esordì anche come poeta con il volume “Canti della Coara” dove riportò lo stesso sentimento di malinconia ed armonia con il mondo che riportava nei suoi dipinti. Egli impiegò talvolta anche il collage, tecnica di ispirazione dadaista, utilizzandolo per aumentare il lirismo delle proprie opere dove veniva sovrapposto alle campiture di colore ordinate con precisione sulla tela. La pittura metafisica non fu l’unico movimento a cui egli si accostò: conobbe infatti attraverso Ardengo Soffici il futurismo, di cui apprezzò soprattutto il valore ritmico, e a Roma attraverso Armando Spadini si accostò alla rivista “Valori plastici” studiando nei musei la natura morta del Seicento napoletano e traendone suggerimenti coloristici. Nel 1923, diventato insegnante di latino ad Assisi, colse l’occasione per studiare a fondo l’opera di Giotto nell’ambito del recupero della classicità allora intrapreso dalla pittura italiana. Nel 1925 si recò a Parigi, dove poté conoscere direttamente le avanguardie artistiche che si stavano sviluppando nella capitale francese. Dal 1926 al 1929 partecipò a numerose mostre del movimento “Novecento”, e inoltre cominciò ad esporre abitualmente alla Biennale di Venezia. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale fu costretto a rientrare in Italia e si stabilì prima a Milano e poi a Venezia; la permanenza in questa città fu breve, infatti nel primo dopoguerra De Pisis si recò nuovamente a Parigi: proprio allora fu colpito da una malattia nervosa che lo costrinse al ricovero nei pressi di Milano. Tale malattia contribuì anche a rendere la sua pittura dell’ultimo periodo molto più essenziale, con elementi ridotti e colori più chiari, fino ad arrivare alle ultime tele, ormai lasciate in gran parte scoperte, decorate solo da sottili tracce di colore.