ALBERTO SAVINIO (Atene 1891 – Roma 1952)
Nato ad Atene nel 1891, alla nascita Andrea de Chirico, fratello di Giorgio de Chirico. Mentre il fratello maggiore era avviato allo studio della pittura al Politecnico di Atene, Savinio studiò da sempre musica diplomandosi giovanissimo in pianoforte. Alla morte del padre l’intera famiglia si trasferì per un breve periodo in Italia, per conoscere le proprie radici italiane, per poi trasferirsi in maniera stabile a Monaco di Baviera. Qui entrambi i fratelli furono influenzati dalla cultura tedesca, l’uno guardando alla pittura di Arnold Bocklin, l’altro apprezzando la musica di Wagner, ed entrambi rimanendo affascianti dal pensiero di Nietzsche e Schopenhauer. Savinio a differenza del fratello si recò più volte a Milano insieme alla madre per cercare di dare uno slancio alla sua carriera come compositore, che però non ebbe mai quel guizzo decisivo che poteva rendere la sua passione una professione. Nel 1910 decise di continuare il suo percorso formativo a Parigi avvicinandosi alla cerchia di personalità che ruotavano attorno al poeta Guillame Apollinaire: fece amicizia con molti artisti vicini alle avanguardie come Picasso, Mac Jacob e Francis Picabia e in questo ambiente pubblicò il suo primo testo poetico in francese che prevedeva anche composizioni musicali che accompagnavano il testo; pare addirittura che i personaggi che componevano questo poemetto ispirarono il fratello Giorgio nel dare vita a quei manichini che vivevano sospesi nelle sue tele metafisiche. Allo scoppio della guerra entrambi furono assegnati alla città di Ferrara dove conobbero i pittori Filippo De Pisis e Carlo Carrà, che furono i primi interlocutori con cui si confrontarono sui temi della nascente pittura metafisica. Dopo un’intensa produzione di testi di estetica e di sceneggiature per spettacoli teatrali, Savinio si trasferì a Parigi, dove risiedeva anche il fratello, e cominciò a coltivare la passione per la pittura che lo aveva accompagnato anche durante l’adolescenza. Dopo questa breve parentesi parigina nel 1933 rientrò definitivamente in Italia dividendosi tra Torino, Milano e Roma, dove mantenne in essere una prolifica produzione sia letteraria che pittorica, esponendo in numerose gallerie, nonché collaborando con alcuni teatri per la realizzazione sia di scenografie che di sceneggiature. Negli ultimi anni della sua carriera – che si interruppe improvvisamente nel 1952 – mantenne sempre la sua grande eterogeneità creativa curando, tra gli altri, gli allestimenti e i costumi per l’opera di Gioacchino Rossini “Armida”, presentata al Maggio Musicale Fiorentino, e allestendo una sala personale alla rassegna d’arte “Artisti d’Italia”.