FULVIO BIANCONI (Padova 1915 – Milano 1996)

Nato a Padova nel 1915, crebbe una famiglia di artigiani con l’amore per la musica: il nonno costruiva infatti botti di legno e talvolta riceveva l’aiuto del padre di Fulvio, professore di corno alla Fenice di Venezia. All’età di sette anni si trasferì a Venezia dove portò a termine le scuole elementari, a cui fecero seguito gli studi alla scuola d’arte dei Carmini, dove si notò subito la sua predisposizione al disegno. Sfruttò questa sua grande dote lavorando come decoratore di vetri in un laboratorio già all’età di quattordici anni; cercò poi di affinare la sua tecnica frequentando saltuariamente l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nel 1934 si trasferì a Milano dove grazie all’amicizia con Cesare Zavattini e Dino Villani, si inserì nel mondo della grafica e dell’illustrazione lavorando anche per importanti aziende come la Motta: fu grazie a Villani che ebbe l’incarico di curare l’immagine per i nuovi profumi della Gi.vi.emme ispirati alle quattro stagioni. È grazie a questo incarico che ritornò a Venezia per disegnare i flaconi proprio alla fornace di Paolo Venini, che già aveva collaborato con tale azienda prima della guerra; Bianconi si recò infatti a Murano nel primo dopoguerra, intorno al 1946, quando la fornace Venini si stava riorganizzando e aveva a disposizione le migliori maestranze, pronte a rimettersi in gioco dopo la pausa forzata della guerra. Nei suoi flaconi dedicati alle quattro stagioni inserì le più raffinate tecniche dell’epoca come il rigadin, finissima costolatura verticale, o il rigadin ritorto, dove il motivo si faceva trasversale. Il direttore della fornace, Paolo Venini, entrò subito in sintonia con Bianconi ammirandolo per la sua inestinguibile creatività ed energia: dopo il progetto dei flaconi da profumo i due continuarono a collaborare incessantemente, e nel 1948 Bianconi partecipò alla Biennale con la sua serie delle “Dodici maschere italiane” che riprendeva un tema molto in voga in quel periodo, presentandolo con soluzioni decorative di raffinata intelligenza. La Venini mise in produzione tali oggetti, fino ad allora mai presentati nel loro catalogo, e in breve tempo ampliarono la produzione inserendo ulteriori serie di figurine come “i musicanti” e “i mori”. Un’altra serie che rese famoso Bianconi fu quella elaborata in occasione della Biennale del 1950 nella quale propose una serie caratterizzata da fasce di colore orizzontali, verticali o a tessere. I vasi realizzati con questa tecnica presero il nome di “pezzati” e venivano realizzati con tessere di colore che venivano tagliate a freddo da una canna ghiacciata e saldate tra loro successivamente in forno. Il tessuto realizzato veniva successivamente modellato secondo la forma desiderata. Altre serie famose furono quella dei vasi forati o a buchi che trovarono molta eco nella produzione muranese dell’epoca, e quelli scozzesi, caratterizzati da un disegno realizzato con canne e filamenti vitrei incrociati. Successivamente Bianconi cominciò a lavorare anche come designer indipendente, entrando parzialmente in conflitto con lo stesso Venini per questioni inerenti alle attribuzioni dei suoi lavori durante le mani ( Venini infatti preferiva che il nome del design non comparisse mai per concentrare l’attenzione sul nome della fornace) e collaborò quindi per altre fornaci come Cenedese e Vistosi. Continuò la sua carriera sia come disegnatore che come designer mantenendo sempre viva quella grande energia creativa che lo aveva accompagnato sin dalle prime produzioni degli anni Quaranta.